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CHI CONTROLLA INTERNET? IL DIBATTITO NEGLI STATI UNITI

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Mercoledì 10 aprile un disegno di legge riguardante la “politica degli Stati Uniti relativa alla governance di Internet” è stato presentato alla Camera dei Rappresentanti Usa. La parte saliente dice semplicemente:

“E’ interesse degli Stati Uniti promuovere la libertà globale in internet fuori dal controllo governativo,  preservare e promuovere il modello multilaterale e di successo che governa la rete.”

Ma questo tentativo di formulare un principio chiaro e renderlo giuridicamente vincolante è diventato una controversia politica proprio a Washington.  E’ successo perché il disegno di legge porta alla luce le contraddizioni latenti che caratterizzano la politica internazionale degli Stati Uniti su internet.  Si è così assistito ad una frattura fra il fronte unito di democratici e repubblicani contro le incursioni delle organizzazioni intergovernative come l’ITU (gli scontri alla recente Conferenza Mondiale sulle Telecomunicazioni internazionali (WCIT12) tenutasi a Dubai parlano chiaro).

Il problema, a quanto pare, è che la parte democratica dell’agone politico non può dire che è contro “il controllo del governo” in sé. Infatti, il disegno di legge ha costretto persone legate all’amministrazione Obama a palesarsi e ammettere apertamente che “il controllo del governo” di Internet è accettabile quando viene esercitato dagli Usa, e bisogna preoccuparsi solo quando altri Stati o organizzazioni lo attuano.

Gli Stati Uniti sono stati profondamente coinvolti in questa contraddizione fin dal Vertice mondiale sulla società dell’informazione nel 2003-5, quando si opponevano alle critiche all’ICANN (controllata dagli Stati Uniti) e allo stesso tempo dicevano di essere contrari al controllo governativo. Nel frattempo diverse agenzie istituzionali statunitensi hanno (nella gran parte dei casi senza rendersi conto di contraddire la retorica sulla libertà di Internet) conquistato silenziosamente posizioni di potere su vari aspetti del web (nel controllo dei domini, ACTA, gioco d’azzardo in rete, armi cibernetiche ecc…).

Fino ad ora la contraddizione latente è rimasta nell’ombra.  Solo pochi accademici sono stati disposti ad articolare l’argomento.

Oggi invece da altri paesi si guarda all’ICANN come una forma di controllo globale di Internet esercitata da un governo, ossia quello degli Stati Uniti.  Si sbagliano?  ICANN deve la sua autorità decisionale sui DNS principali direttamente da un contratto con il governo degli Stati Uniti e, in cambio della ricezione di tale contratto, ICANN deve rimanere negli Stati Uniti conformandosi alle sue politiche.  Questo non è uno stretto coordinamento, è vero e proprio controllo.

Anche gruppi della società civile come Public Knowledge (PK), che si erano espressi contro il controllo governativo di internet, sono tornati sui propri  passi dichiarando di temere che il disegno di legge vada a mettere in pericolo le garanzie per la cittadinanza, garantite dal controllo istituzionale.

Si applicano in questi casi due pesi e due misure:  si distingue tra il monitoraggio del governo in casa (quello buono) e il controllo governativo che coinvolge il resto del mondo (quello negativo).

In realtà questo tipo di approccio, sebbene debba considerare che oggi tutte le società operanti nel controllo della rete risiedano ancora negli Stati Uniti, ci pare quello migliore per due serie di motivi.

Il primo è che appellandosi a istituzioni transnazionali slegate dalle sovranità degli Stati non si fa altro che immergersi nell’ennesimo pantano giuridico e politico. Forse gli esperti di internet non hanno ben seguito la parabola di un’istituzione come l’Onu (per citare la più grande): nata in un determinato periodo storico, risulta oggi completamente bloccata; svolta la sua funzione si è rivelata un’enorme scatola vuota e appellarsi a organizzazioni di questo tipo rimane ideologia se non utopia.

Il secondo motivo è che lasciando fare a grandi organizzazioni intergovernative o tecniche, si rimane comunque vincolati a chi il potere riesce ad esercitarlo davvero. Per ora la più grande potenza rimane quella statunitense, che riuscirebbe  ad influenzare scelte e baricentro.

E’ proprio invece una rete legata alla sovranità degli Stati che potrebbe garantire multilateralismo e libertà. La possibilità di non dipendere strutturalmente da Washington è la migliore garanzia della libertà della rete. Ovviamente l’Europa dovrebbe anche in questo caso capire che il proprio futuro non può essere dentro il recinto di vincolanti alleanze atlantiche. Ma questa è un’altra storia.

 

 

 

*Matteo Pistilli è redattore di “Eurasia”, vicepresidente del Centro Studi Cesem e fondatore di “Informazione Scorretta”.

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