Nel corso della storia, il mare è stato considerato di fondamentale importanza per lo sviluppo delle civiltà. Il suo dominio si è sempre dimostrato uno strumento decisivo per la prosperità di molti popoli. Basti pensare alle vicende che hanno caratterizzato il bacino del Mediterraneo nei secoli passati, dove il controllo dello spazio marino permetteva di proiettare ed espandere la civiltà di chi lo esercitava di volta in volta. In una visione più globale, è ciò che avvenne con la Pax Britannica del XIX secolo, quando «[…]una piccola isola situata al margine nord-occidentale dell’Europa diventò così, volgendo le spalle alla terraferma e decidendosi per il mare, il centro di un impero globale[…]»(1).
Un accesso diretto al mare rappresenta dunque una chiave universale in grado di aprire le porte del mondo. Secondo Fernand Braudel, «[…] il mare è infatti la grande via di comunicazione, il grande mezzo per superare le distanze, per trasportare uomini e merci. Mai la strada ferrata o la via fluviale (e difficilmente la via aerea) avranno la sua dimensione decisiva. Lo spazio marino è lo spazio della grande, della grandissima storia […]»(2).
In una prospettiva speculare, l’assenza di tale apertura diventa un forte svantaggio nella percezione di chi lo subisce; un freno allo sviluppo materiale e sociale di uno Stato e della popolazione che vi risiede. La rilevanza della questione lambisce anche il diritto internazionale, dove si è cristallizzata in norma nella Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare. In essa è infatti sancito il diritto di accesso a quegli Stati privi di litorale costiero. Ciononostante, la misura trovata nella codificazione a volte non si traduce in una efficace soluzione al problema.
Tra i vari Paesi bloccati dalla terra, la Bolivia si presta quale esempio specifico per una riflessione sul tema. Le conseguenze storiche date dalla sua mediterraneidad(3) rivestono ancora un’importanza di grande attualità, soprattutto se analizzate da un punto di vista macro-regionale – inquadrate quindi nel contesto di un nuovo Grande Spazio che, dall’inizio del XXI secolo, sta giocando un ruolo sempre più rilevante all’interno delle dinamiche globali.
Sognando l’oceano
L’importanza strategica di una finestra sul Pacifico era già ben chiara nella mente di Simón Bolívar, quando il 28 dicembre 1825 dichiarava l’intenzione di dotare il neonato Stato boliviano di un porto nella baia di Cobija(4). Al momento dell’indipendenza i confini boliviani si estendevano fino alla costa pacifica attraverso un corridoio terrestre, delimitando un’area compresa tra le le città di Tocopilla a nord, Antofagasta a sud e la cordigliera delle Ande. (fig. 1).
I geografi conoscono questa zona con il nome di deserto di Atacama. Dopo la scoperta di importanti giacimenti di guano e di salnitro, dalla seconda metà del XIX secolo le potenzialità economiche e la gestione delle due risorse naturali furono oggetto di un conflitto tra Cile e Bolivia, a cui si affiancò in seguito il Perù. Con la firma del Trattato di Lima, il 1904 vide la conclusione ufficiale della Guerra del Pacifico e il riconoscimento della sovranità cilena sulla zona di Atacama.
Fonte figura: www.educabolivia.bo
Il definitivo interramento della Bolivia all’interno del Cono Sur rappresenta da allora un tema di costante rilevanza nelle relazioni tra i due Stati. Una questione su cui poggia non solo il tentativo di riaffermazione economica e di sviluppo interno, macro-regionale e internazionale, ma anche un forte interesse nazionale entrato ormai a pieno titolo nell’immaginario collettivo boliviano. Per certi versi, inoltre, oggi come in passato la vicenda è legata ancora alla gestione e allo sfruttamento di importanti risorse naturali.
La Bolivia è infatti uno di quei Paesi sudamericani dotati di vaste riserve di materie prime ed energetiche, da utilizzare in funzione di una svolta nel proprio decollo economico. L’arrivo di Morales alla presidenza ha dato il via a una serie di misure strutturali, orbitanti all’interno della corrente politica ed economica neostatalista diffusasi anche in altri Paesi della regione. Seguendo così l’esempio di Chávez e delle presidentesse Kirchner e Rousseff, il governo di La Paz ha nazionalizzato settori chiave per l’economia, come quello delle risorse di gas naturale, dell’energia elettrica e delle telecomunicazioni.
Nonostante la ricca presenza di questi mezzi, il Paese è ancora oggi riconosciuto come uno dei più poveri del sub-continente. A differenza di altri Stati, infatti, l’irrobustimento della classe media e l’uscita di una parte della popolazione dalla soglia di povertà sono processi ancora incompiuti nella realtà boliviana, anche perché i risultati di tali politiche, finalizzate proprio al rafforzamento di questi aspetti propulsivi socio-economici, mostreranno i loro effetti più incisivi nel medio-lungo periodo. Tuttavia, a confermare il proseguimento strategico in questa direzione è lo stesso Morales, quando nel giugno scorso ha espresso la possibilità di portare sotto la proprietà dello Stato tutte le industrie attive nell’utilizzo delle risorse presenti sul suolo boliviano(5).
Il legame tra le due questioni – l’accesso diretto e sovrano sul Pacifico e le potenzialità derivanti dal modello di sviluppo economico intrapreso – è più chiaro se si guarda alle caratteristiche geografiche della zona.
Il fatto di raggiungere la costa mediante un corridoio terrestre potrebbe tradursi in un miglioramento di competitività delle esportazioni boliviane, dovuto alla riduzione dei costi di trasporto e di logistica. Il flusso attuale verso l’oceano passa per il porto di Arica in Cile, attraverso una zona franca e di libero transito. L’origine di questo interscambio commerciale risiede negli accordi del Trattato di pace del 1904, ma secondo quanto afferma Zamora Guzmán, rappresentante della Cámara Nacional de Exportaciones de Bolivia (Caneb), la mancanza di un porto continua a danneggiare i prodotti boliviani, facendone lievitare il prezzo e ritardandone i tempi di spedizione(6).
Inoltre, le esportazioni del bene primario del Paese – il gas naturale – sono dirette principalmente in Brasile e in Argentina. Un’apertura verso il Pacifico significherebbe dunque il rivolgersi a dei mercati assetati di tali risorse energetiche. Carlo Orías, portavoce del Ministero degli Idrocarburi, ha affermato infatti che «[…] la chiusura del Paese impedisce di esportare gas in Asia e nell’emisfero nord […]», spingendo l’espansione di tale commercio verso i vicini Paraguay e Uruguay(7).
Se osservata ancora in questa prospettiva, la richiesta boliviana di uno sbocco sovrano verso l’acqua è rafforzata anche da un altro elemento. A sud del Paese e confinante con il Cile si trova il Salar de Uyuni, la più grande distesa di sale della Terra. Al di sotto di essa è stata stimata la presenza di una vasta riserva di litio, rappresentante circa un terzo della quantità totale presente sul pianeta. Il materiale è considerato la fonte futura di energia verde, le cui possibilità di utilizzo variano dal potenziamento di tablet, smartphone e telefoni cellulari, a personal computer e macchine elettriche. La sua estrazione e il conseguente commercio in mercati regionali e internazionali è dunque un’oggettiva opportunità di sviluppo economico e geopolitico per l’intero Paese, data anche dalla sua particolare posizione geografica.
In conclusione, leggere la storica questione marittima boliviana attraverso una lente geopolitica permette di comprendere a fondo i fattori che la muovono, fornendo allo stesso tempo una chiave interpretativa in grado di chiarirne l’importante significato economico e i relativi benefici sociali. Più in generale, si presta quale imprescindibile punto di vista attraverso cui analizzare le relazioni tra gli Stati coinvolti – tanto a un livello bilaterale, che a uno multilaterale e inserito in un quadro di rapporti regionali.
Un problema strutturale
Se è dunque plausibile il fatto che l’assenza di un accesso sovrano all’oceano abbia influenzato in qualche modo lo sviluppo del Paese sudamericano, l’obiettività di un’analisi sul tema impone comunque alcuni interrogativi. É possibile affermare che il mancato avverarsi del sogno marittimo boliviano sia la causa principale di tale effetto? Il maggior costo dei beni esportati o l’assenza di un collegamento diretto ai fiorenti mercati del Pacifico sono gli elementi chiave da tenere in considerazione?
La risposta a queste domande viene dal portavoce del Ministero degli Idrocarburi Orías: «[…] nonostante sia certo che la mancanza di un porto abbia avuto il suo peso, la realtà è che in questo momento il Paese non è preparato per esportare idrocarburi in Asia o in nuovi mercati perché mancano infrastrutture per trasportare il prodotto sulla costa[…]»(8).
Queste parole mostrano come il miglioramento del sistema logistico e di trasporto sia un nodo centrale per lo Stato boliviano, direttamente legato alla sua pretesa storica di sovranità. Una buona parte delle risorse energetiche esportate proviene dalla zona est del Paese, dove l’assenza di condotti e mezzi adeguati non permette loro il raggiungimento della costa pacifica. Le due principali vie ferroviarie – la Red Occidental e la Red Oriental, che collegano la Bolivia agli Stati confinanti – sono rinomate per la loro lentezza e la mancata interconnessione tra di esse rende più difficoltosa la comunicazione tra la zona dell’Altopiano e quella orientale.
Oltre a uno sbocco occidentale attraverso i porti cileni, va poi notato che il Paese sudamericano può contare su una serie di concessioni portuali fornite dai suoi vicini ad est. Le città di Villeta in Paraguay, di Rosario in Argentina e di Nueva Palmira in Uruguay rappresentano dei nodi nevralgici del sistema fluviale Paraná-Paraguay. Collegata ai porti boliviani di Quijarro e Busch, tale rete di trasporto idrico è un fattore cardine per il commercio dei prodotti boliviani, nonché uno strumento necessario al potenziamento generale delle esportazioni attraverso una via d’uscita sull’Atlantico. Ciononostante, un recente articolo apparso sul quotidiano La Razón evidenzia come in questi anni il governo di La Paz non sia stato in grado di dotare queste zone di strutture portuali e logistiche, adeguate a uno sviluppo delle potenzialità derivanti dal loro utilizzo(9).
In questa prospettiva va quindi osservata la recente intenzione di Morales di rafforzare la presenza boliviana sul lato orientale del sub-continente, proprio attraverso il sistema idrico della Cuenca del Plata. Il progetto prevede sia la creazione di un collegamento che da Puerto Suárez arrivi a Puerto Busch, in grado di migliorare l’esportazioni del Paese; sia l’installazione di un terminale di carico a Puerto Busch, necessario per immagazzinare i prodotti in attesa del loro trasporto(10).
Ma l’obiettivo del presidente boliviano non è rivolto solo verso est. L’accordo con il Perù del 2010 ha dato nuovo impulso al trattato già siglato nel 1994, in cui viene concesso l’utilizzo di una zona portuaria e di libero transito a dieci miglia da Ilo, importante porto peruviano sul Pacifico. Quest’area sarà potenziata con l’installazione di industrie per il mercato estero e con la creazione di una ferrovia che la collega direttamente a Porto Suárez e di lì al Brasile.
Da quanto descritto emerge chiaramente la consapevolezza della necessità di attuare una serie di misure d’intervento, volte a rendere più efficiente e competitivo l’intero sistema infrastrutturale boliviano. Tale considerazione è dunque un requisito imprescindibile da affiancare alla storica richiesta di passaggio sovrano verso Pacifico. Nondimeno, rappresenta un fattore strategico essenziale al sostenimento e al rafforzamento di un progressiva influenza regionale ed internazionale del Paese. Infatti, se da un lato non è immaginabile uno sviluppo economico e geopolitico senza una rete logistica e di trasporto in grado di sostenerlo adeguatamente, dall’altro la sua mancata realizzazione può vanificare gli effetti di un’eventuale risoluzione positiva della questione marittima.
L’importanza della dimensione regionale
Dalla prima decade del XXI secolo, l’intero sub-continente americano sta vivendo un florido momento di sviluppo, mediante il quale continua ad aumentare il suo ruolo di influente polo economico nelle dinamiche globali. Un articolo apparso sulla rivista Limes in questi giorni, raccoglie una serie di dati macroeconomici che confermano quanto appena descritto, evidenziando come l’intera area indiolatina sia uno dei principali motori trainanti del commercio e dell’economia mondiale(11).
Osservata dalla prospettiva di un comune interesse macro-regionale, la rilevanza strategica di una soluzione positiva al confronto tra Bolivia e Cile acquista una forma più chiara.
Da qualche anno è, infatti, in costruzione un corridoio inter-oceanico in grado di collegare le sponde dei due oceani. La via di comunicazione – creata soprattutto per migliorare il trasporto di merci – si estende sul territorio di Brasile, Cile e Bolivia, congiungendo così i porti atlantici di Santos e Mato Grosso ai terminali pacifici di Arica e Iquique.
La realizzazione di un progetto simile è in corso anche più a sud. Il corridoio bioceanico di Aconcagua è una linea ferroviaria che si snoda attraverso Cile ed Argentina, connettendo le città di Mendoza e di Los Andes. Attraverso un miglioramento dell’interscambio di merci e persone, questo percorso permetterà di superare la barriera fisica imposta dalla cordigliera andina e di potenziare il flusso di esportazioni in entrambi i sensi, da est a ovest.
Nel loro insieme, è evidente come i due assi rappresentino una risorsa di potenza da cui derivano grossi vantaggi, sia in termini economico-commerciali che geopolitici. Il punto fondamentale sta nel fatto che essi potranno giovare non solo agli interessi dei singoli Stati coinvolti, ma soprattutto a un interesse generale e condiviso dall’intera zona sub-continentale. Per fare un esempio, il metodo di trasporto più usato per l’esportazione di prodotti dal Pacifico all’Atlantico e viceversa è quello su nave, utilizzando le rotte passanti per il Passaggio di Drake a sud e per il Canale di Panama a nord. L’entrata in funzione dei corridoi permetterà quindi una riduzione dell’uso della via marittima a favore del trasporto via terra o su rotaia, rendendo più competitivo il flusso esportativo sudamericano nel suo complesso.
Per questa ragione è essenziale che una soluzione al confronto cileno-boliviano sia ricercata attraverso una regionalizzazione della questione. In altre parole, essa va trovata in un contesto di relazioni multilaterali in grado di far prevalere tale interesse comune sui diversi e contrastanti interessi nazionali. Questo tipo di approccio è di fondamentale importanza, dato anche il crescente livello di integrazione e di sviluppo oggi presente nelle intenzioni politiche degli Stati sudamericani.
In un articolo pubblicato su questa rivista, viene espresso un punto di vista interessante, che coglie efficacemente il senso profondo della vicenda. L’autore sostiene infatti che «[…] Bolivia e Cile saranno per sempre confinanti e per questo trovare una soluzione soddisfacente è ovviamente vantaggioso, ma per raggiungere questo accordo entrambi i Paesi hanno bisogno di abbandonare l’obsoleta percezione dall’altro – più idonea al XIX secolo che al presente – ed interagire non come nemici ma come parti di un tutt’uno[…]»(12).
Benché ampiamente preferibile, la gestione del problema nell’ottica appena descritta sembra allontanata dagli eventi di questi giorni. Il 5 febbraio l’amministrazione cilena ha deciso di non inviare una proposta ufficiale in merito alla concessione di una enclave sul proprio territorio, segnando così un ulteriore passo nella storica controversia. La reazione boliviana a tale misura non si è fatta attendere ed è arrivata direttamente dal presidente Morales, il quale ha annunciato la volontà di escludere dal progetto interoceanico i porti cileni(13).
In conclusione, sembra poco probabile la possibilità di una soluzione all’annoso problema marittimo in tempi brevi, soprattutto se la percezione di esso continuerà ad essere inquadrata in un rapporto di forza a due. Rodrigo Cabezas – economista venezuelano ed ex ministro dell’Economia – in una conferenza dal titolo “La sfida dell’integrazione: CELAC e UNASUR” ha recentemente dichiarato che «[…] questo è il secolo dell’America Latina [...] e vi è una coscienza piena del fatto che la principale sfida sia quella di costituirci in un gran nuovo blocco economico, politico e sociale[…]»(14). Dunque, un ruolo chiave nel cammino verso una chiusura condivisa della questione tra i due Stati può essere giocato proprio dalla consapevolezza di essere di fronte a tale sfida.
*Massimo Aggius Vella è laureando magistrale in Scienze Politiche e di Governo, presso l’Università degli Studi di Milano.
NOTE:
(1) C. Schmitt, Terra e mare, Adelphi Edizioni, Milano 2009, p. 91.
(2) F. Braudel, Storia, misura del mondo, Il Mulino, Bologna 1998, p. 105.
(3) La parola deriva dalla definizione data dalla Real Academia Española e si riferisce a qualcosa che sta all’interno di un territorio.
(4) Cfr. W. Lofstrom, Cobija, Bolivia’s first Outlet to the Sea, in “The Americas”, Vol. 31, No. 2 (Ott., 1974), pp. 185-205
(6) Cfr. http://www.eurasia-rivista.org/la-bolivia-chiede-un-accesso-sovrano-nel-pacifico/8895/
(7) Ivi
(8) Ivi
(9) Ivi
(10) Cfr. http://www.la-razon.com/nacional/Bolivia-puertos-chilenos-desarrollo-interoceanica_0_1774622558.html
(11) Cfr. http://temi.repubblica.it/limes/leconomia-dellamerica-latina-cresce-ma-ha-bisogno-delleuropa/42273
(12) M. Barreto, Il sogno proibito boliviano, in “Eurasia – Rivista di Studi Geopolitici”. http://www.eurasia-rivista.org/il-sogno-proibito-boliviano/14831/
(13) Cfr. http://www.la-razon.com/nacional/Bolivia-puertos-chilenos-desarrollo-interoceanica_0_1774622558.html