I retroscena
Il 14 agosto 2002 il gruppo di opposizione iraniano autodenominatosi Consiglio Nazionale di Resistenza Iraniano (CNRI) denunciò l’esistenza di un impianto nucleare segreto nella città di Natanz.
Nel febbraio 2003, mentre la coalizione USA si stava mobilitando per invadere l’Iraq alla ricerca di presunti armamenti chimici, l’Iran cercò di rassicurare la “comunità internazionale” ammettendo ufficialmente l’esistenza del sito di Natanz e permettendo all’AIEA di fare delle rilevazioni per verificare l’eventuale presenza di uranio sul posto. Come prima cosa gli ispettori notarono che le centrifughe di Natanz non erano configurate in maniera tale da poter arricchire uranio per scopi militari. Infatti, la disposizione delle centrifughe in serie è importante per capire il livello di arricchimento che possono portare; ad esempio, un reattore viene solitamente alimentato con uranio arricchito al 5%, mentre una testata nucleare è costruita utilizzando uranio arricchito attorno al 95%. Il modo in cui sono disposte le centrifughe, in unità e in cascate, può fornire molte informazioni sul livello di arricchimento che possono raggiungere.
Dopo il sopraluogo, ma prima dei risultati delle rilevazioni, nel giugno 2003, la AIEA dichiarò che l’Iran non aveva rispettato gli accordi assunti con la firma del TNP. Le inadempienze iraniane, però, a differenza di quel che si pensa, non riguardavano il mancato annuncio dell’impianto di Natanz, bensì l’acquisizione di circa 2 tonnellate di uranio naturale importato dalla Cina nel 1991. Anche se gli ispettori dell’AIEA rimasero sbigottiti nel ritrovarsi davanti un impianto per l’arricchimento di uranio in grado di contenere decine di migliaia di centrifughe, la costruzione del sito era del tutto legale. Secondo l’accordo firmato nel 1974, l’Iran avrebbe dovuto dichiarare l’esistenza di una qualsiasi struttura collegata con il suo programma almeno 180 giorni prima l’introduzione di materiale nucleare al suo interno. Anche se terminato, il sito di Natanz non era ancora in funzione. Consapevole di ciò, l’Agenzia si limitò a denunciare una violazione degli accordi avvenuta nel 1991 e spontaneamente ammessa dall’Iran dopo le rivelazioni del 2002.
Oltre ad essere alquanto datata, la trasgressione non risultava neppure così scandalosa; le due tonnellate di uranio naturale importate equivalevano a 0,13Kg di uranio potenzialmente arricchibile. Infatti, circa il 99% di uranio naturale non può essere arricchito. Solo una minima quantità del minerale (lo 0,7%), costituita dall’isotopo U-235, può essere sottoposta a fissione nucleare. Come dichiarato dall’Agenzia, una simile quantità può essere utilizzata solo nel campo della ricerca e non può portare quindi alcun beneficio nella costruzione fisica di un ordigno nucleare. Con ogni probabilità l’Iran adoperò questa quantità di uranio per proseguire le sue ricerche sul programma di arricchimento a laser. Tuttavia, per costruire una testata nucleare “media” (25Kg di uranio arricchito al 96%) sono necessarie circa 12 tonnellate di uranio a basso arricchimento (inferiore al 20%); l’Iran, dall’inizio del suo programma ad oggi, ha arricchito più o meno 8.271Kg di uranio al 5% e 280Kg al 20%, una quantità insufficiente a costruire un singolo ordigno nucleare.
Quando i risultati delle rilevazioni effettivamente confermarono la presenza di particelle di uranio nell’impianto di Natanz, l’Iran si giustificò sostenendo che la contaminazione derivava da alcuni componenti di centrifughe importate dal Pakistan. Dopo anni d’indagini e verifiche, l’Agenzia concluse nell’agosto 2005, che la versione dei fatti raccontata dall’Iran era credibile. Successivamente a questo episodio, fino ad oggi, non ci sono state altre occasioni in cui l’AIEA ha potuto verificare il mancato rispetto degli accordi presi dall’Iran sotto il TNP.
La dimensione militare
Fra le congetture a sfavore dell’Iran, ne esiste una che, qualora risultasse veritiera, dimostrerebbe una reale connessione tra il programma nucleare e l’intenzione di sviluppare armamenti atomici. Sono i cosiddetti “alleged studies”, un vasto volume di documentazioni e progetti consegnati all’AIEA da fonti indipendenti ma non ufficialmente rese note dall’Agenzia nel rapporto pubblicato nel 2011. Secondo quanto dichiarato, grazie ad informazioni fornite da alcuni stati membri, indagini indipendenti dell’Agenzia e dichiarazioni fatte dalle stesse istituzioni iraniane, l’AIEA sarebbe stata in grado di mettere insieme un fascicolo che delineerebbe in dettaglio alcune attività non dichiarate dall’Iran fino al 2003.
Secondo l’AIEA, il Centro di Ricerca di Fisica iraniano avrebbe condotto fra il 2002 e il 2003 alcune attività segrete sotto il nome di AMAD Plan. Questo sarebbe una sorta di macroprogetto comprendente altri tre sottoprogetti: il Green Salt Project, il test di potenti esplosivi, e alcuni studi ingegneristici riguardanti la ricostruzione del carico utile del veicolo di rientro del missile Shahab-3 (Project 111). Il Green Salt Project faceva parte di un più ampio programma chiamato Project 5 avente lo scopo di procurare una fonte di uranio da utilizzare in un programma di arricchimento dislocato. Una volta arricchita, questa quantità di uranio sarebbe stata convertita in uranio metallico, un composto indispensabile per la costruzione di un ordigno atomico, da integrare non per caso in una testata nucleare del missile Sahahab-3, oggetto di studio del Project 111. In particolare, lo scopo del Project 111 era quello studiare il modo di adattare un nuovo carico utile, di forma sferica, all’interno dell’esistente camera del veicolo di rientro del Shahab-3. Ad ogni modo, già nel 2004, diversi anni prima la pubblicazione degli “alleged studies”, l’Iran aveva dichiarato all’Agenzia di aver convertito tra il 1995 e il 2002 una quantità di tetrafluoruro di uranio (un composto comunemente conosciuto come Green Salt) in 126,4Kg di uranio metallico al Centro di Ricerca di Teheran; un’operazione che rientrava nelle facoltà iraniane secondo gli accordi presi sotto il TNP.
Per quanto riguarda i test di esplosivi, tra il materiale raccolto dall’Agenzia sarebbe testimoniata anche la sperimentazione di un sistema di iniziazione multi punto, un apparecchio utile a rimodellare l’onda di detonazione in modo da assicurare un’implosione uniforme del nucleo del materiale fissile a densità supercritica. Il test dell’apparecchiatura sarebbe stato condotto nel 2003 facendo brillare una potente carica di esplosivo di forma semisferica delle stesse dimensioni del nuovo carico utile per il missile Shahab-3. Altre indiscrezioni pervenute all’Agenzia raccontano della costruzione di un enorme recipiente utile a contenere esperimenti idrodinamici con potentissimi esplosivi nel complesso militare di Parchin. Tuttavia, anche se non necessario, essendo Parchin un sito militare e non un complesso collegato al programma nucleare, l’Agenzia ebbe la possibilità d’ispezionarlo due volte nel 2005 senza trovare nulla di compromettente. Neppure le immagini satellitari dal 2005 ad oggi mostrano attività sospette nel complesso militare.
Gli “alleged studies” fanno esclusivamente riferimento ad un solo tipo di missile, il Shahab-3, in dotazione al Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica dal 2003. Il Shahab-3 è un missile balistico a medio raggio in grado di portare un carico utile di 1.000 Kg. Anche se recenti sviluppi hanno aumentato notevolmente la sua gittata, fino al 2008 il Shahab-3 poteva raggiungere una distanza massima di 800-1.000Km e avrebbe quindi potuto raggiungere Israele solo parzialmente. Considerando che la deterrenza contro Israele e i suoi alleati sarebbe l’unica ragione razionale che potrebbe spingere l’Iran a sviluppare armamenti nucleari, risulta difficile credere che l’Iran avrebbe potuto mettere a rischio la sua reputazione internazionale rischiando oltretutto di incappare in una guerra preventiva da parte dell’Occidente, solo per costruire un ordigno nucleare strategicamente inutile per il suo scopo. Montare una testata nucleare in un Shahab-3 non avrebbe intimorito Israele né tantomeno gli USA e sarebbe stato quindi del tutto controproducente.
Se l’Iran sia stato intenzionato oppure no a sviluppare armamenti nucleari in passato resta un mistero. Quel che è certo è che non ci sono finora prove o fatti concreti che dimostrino una dimensione militare del programma, oltre al fatto che l’AIEA ha notevolmente intensificato i controlli, rendendo improbabile lo sviluppo di un ordigno nucleare oggi.
*Giacomo Barolo è dottore in Scienze Internazionali e Diplomatiche all’Università di Bologna