Il n. 2/2013 di “Eurasia. Rivista di studi geopolitici” (in distribuzione a partire dalla metà di giugno) è dedicato alla Turchia. Il direttore della rivista, Claudio Mutti, è stato intervistato sugli avvenimenti turchi da Natella Speranskaja (Mosca) per il sito www.granews.info
D. – In Turchia è cominciata la rivoluzione nazionale. Che forze ci sono dietro di essa? Chi combatte e contro chi?
R. – Le giaculatorie sui “diritti umani” e la “democrazia”, l’esibizione delle Femen, la solidarietà di Madonna e di alter celebrità di Hollywood, la stucchevole retorica antifa con tanto di “Bella ciao” mi sembrano più I sintomi di una “rivoluzione colorata” o di una “primavera turca”, che non una rivoluzione nazionale. Per il momento non è possibile sapere se le proteste siano scoppiate in maniera spontanea o se davvero siano state provocate da agenti stranieri, come pretende Erdogan. Dobbiamo però tener presente che l’ambasciatore statunitense ad Ankara, Francis Ricciardone, ha ripetuto due volte in due giorni il suo messaggio in favore dei manifestanti e che John Kerry ha rilasciato una dichiarazione sul diritto di protestare. Certo, fra i manifestanti vi sono anche gli attivisti di gruppi e movimenti non atlantisti ed anche filoeurasiatisti (come ad esempio il Partito dei Lavoratori, İşçi Partisi); tuttavia non mi sembra che questi militanti siano in grado di dirigere una massa così eterogenea sui binari di una rivoluzione nazionale.
D. – In che modo la rivoluzione turca si colloca nei confronti dell’opposizione geopolitica eurasiatica (Russia, Iran, Siria) e dell’atlantismo (NATO, USA, UE)?
R. – È vero che in Turchia molta gente si preoccupa per il coinvolgimento del Paese nel conflitto siriano. Ma quando i dimostranti proclamano “Siamo i figli di Ataturk”, essi esprimono la loro adesione ai principi del secolarismo e del laicismo, non una posizione eurasiatista. Purtroppo non riesco a vedere nella rivolta una significativa tendenza antiatlantica.
D. – Qual è la Sua prognosi circa lo sviluppo degli eventi in Turchia e quali saranno gli effetti sulla situazione siriana?
R. – È probabile che la rivolta induca Erdogan a riflettere sulla saggezza del proverbio “Chi semina vento, raccoglie tempesta” e ad occuparsi più degli affari turchi che non di quelli siriani; probabilmente si renderà conto del fatto che gli Statunitensi sono sempre pronto a licenziare i loro collaboratori, dopo averne fatto uso. Due mesi fa il suo Ministro degli Esteri, Ahmet Davutoglu, ha firmato un protocollo d’intesa che fa della Turchia un “membro dialogante” dell’Organizzazione per la Collaborazione di Shanghai. Se il governo turco vuole essere coerente con questo passo, deve archiviare quella sorta di “neoottomanismo” che maschera una funzione sub imperialista funzionale agl’interessi egemonici occidentali. Anzi, se la Turchia vuole essere davvero un punto di riferimento per i popoli musulmani del Mediterraneo e del Vicino Oriente, è necessario che essa rescinda i legami con la NATO e col regime sionista. È da schizofrenici destabilizzare la Siria e allo stesso tempo accusare il sionismo di essere (parole di Erdogan) “un crimine contro l’umanità” e l’entità sionista di rappresentare “una minaccia per la pace della regione”.